Nel 1973 veniva pubblicato “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Bellotti, un testo che a distanza di 50 anni continua ad essere considerato un punto di riferimento per la pedagogia e la sociologia dell’infanzia.
Lo è soprattutto nel suo assunto principale e cioè : “I concetti di femminilità e di mascolinità che ci vengono presentati come caratteristiche innate e istintive degli individui, sarebbero in realtà “fabbricate” dall’ambiente culturale in cui si è immersi”.
Un costrutto sociale dunque frutto di una cultura patriarcale che da sempre condiziona i comportamenti e le personalità dei bambini e delle bambine. Un’assegnazioni di ruoli indotti talmente antico a cui spesso non si fa caso e che invece condizionano inesorabilmente i destini di tanti e tante. Vale per i maschi ma purtroppo continua sempre a valere di più per le femmine. Sono le bambine infatti a essere condizionate ad una dimensione ristretta, limitata di possibilità nel pensarsi e nell’immaginarsi nel futuro e di subalternità rispetto ai loro compagni maschi.
Le bambine vanno tenute all’interno di un ambito, vanno controllate, vanno disciplinate. Con le buone o con le cattive. Quindi è bene (naturalmente è male) sin da subito individuare per loro delle “propensioni”. La cura per esempio. Di sé e degli altri. Le bambine devono essere belle, gentili, silenziose. Le bambine devono rifarsi ad un immaginario pieno di principesse indifese e di principi che le salveranno (intendiamoci non c’è da parte nostra nessuna demonizzazione di tale racconto il problema è che pensiamo che non debba essere l’unico). Le bambole sono delle femmine mentre gli animali e i dinosauri sono dei maschi. La cucina, il ferro da stiro, il carrello della spesa sono da femmine mentre le macchine sono dei maschi. E poi ancora i trucchi, i vestiti, le perline per le femmine e i primi giochi tecnologici per i maschi. Perché secondo la cultura dominante le femmine non hanno un’inclinazione scientifica mentre i maschi sì. È infatti dai primi anni di vita che s’inculca nelle teste dei bambini e delle bambine attraverso questi primi stili di vita indotti che cosa potranno fare e cosa invece non gli compete.
Da qui, non a caso, la ridicolizzazione a cui è sottoposta la declinazione di genere nella lingua italiana. C’è stato e c’è tuttora il tentativo di ostacolare l’affermazione linguistica femminile considerandola inutile, poco importante, una perdita di tempo. Quando invece la derivazione dei ruoli sociali è condizionata fortemente dai modelli linguistici. Cioè alcune professioni si è abituati a sentirle declinare solo al femminile e risultano quasi scorrette al maschile oppure acquisiscono un significato diverso. Lo stesso vale all’inverso. Ma non è un problema della lingua italiana, è che realmente alcune professioni sono state attribuite nel corso del tempo ad uno dei due sessi e oggi non si riesce o non si vuole dare atto ad un nuovo equilibrio che seppur sempre in deficit nei confronti delle donne potrebbe però agevolare nuovi modelli culturali per le bambine. Se invece c’è l’annientamento di un genere nel discorso pubblico e privato quotidiano ecco che la rimozione del contributo delle donne lo si avverte un po’ dappertutto.
Anche nei libri di testo della scuola primaria, una volta superata la scuola dell’infanzia dei giochi. Crea ancora forte indignazione leggere sui libri di testo dei bambini, esempi che si rifanno a un ordine sociale tradizionale in cui la mamma sta a casa a lavare i piatti e il papà è fuori a lavoro. O ancora la rappresentazione appunto delle professioni la mamma è al massimo un’infermiera ma mai una dottoressa. Tutto questo contribuisce fuori dalla dimensione educativa familiare a creare e rafforzare in ambito scolastico quegli stereotipi culturali che alimentano la disparità tra i generi e producono nelle bambine una limitazione della libertà di scelta che condizionerà inesorabilmente i loro percorsi personali sia emotivi affettivi sia cognitivi lavorativi.
Come dicevamo all’inizio anche i maschi vengono inglobati all’interno di questi stereotipi. Limitandone soprattutto l’emotività. A noi interessa molto naturalmente indagare anche questo ambito. Partiamo dall’assunto di voler contrastare e prevenire la violenza maschile sulle donne quindi è fondamentale analizzare anche le gabbie culturali dei maschi. Ma a differenza delle bambine la limitazione da sottolineare è appunto quella affettiva perché in relazione al percorso di realizzazione cognitiva i bambini non vengono ostacolati in nulla anzi quello che alle bambine viene indicato in una dimensione domestica quotidiana sui maschi assume autorevolezza e potere. Se da una parte il posto delle donne è in cucina, dall’altra i grandi chef sono uomini. È solo un piccolo esempio di come l’immaginario acquisisce significati diversi rispetto al genere. Invece nella sfera affettivo/relazionale le cose si complicano anche per i maschi. A loro non è concesso piangere, esprimere fragilità. Per loro è sempre dietro l’angolo lo stigma della “femminuccia”. Vengono incoraggiati ad una logica da “branco” a partire dagli sport che vedono il calcio come sublimazione di questo modello di prematura virilità e senso di appartenenza.
Nella fascia di età relativa alla scuola dell’infanzia e alla primaria. La Fondazione propone un intervento educativo differenziato negli strumenti ma che ponga al centro nella prima e nella seconda infanzia la decostruzione degli stereotipi di genere e il racconto emotivo dei bambini e delle bambine.